Nina Siciliana

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Storia di un amore platonico

Rimatrice del XIII secolo di cui non sono pervenute notizie biografiche certe, tranne la sua origine siciliana e il legame indissolubile con la figura di Dante da Maiano. Secondo il filologo Vincenzio Nannucci, Nina fu la seconda letterata di cui si abbia notizia di versi scritti in volgare, la prima sembra essere stata Gaia, figlia di Gherardo da Camino, citata anche da Dante nella Commedia. Secondo le fonti storiche, pare che Dante da Maiano se ne fosse invaghito senza averla mai vista prima, solo per la sua fama di poetessa, e per questo motivo le avesse inviato un sonetto scritto di suo pugno:

 

 

« La lode e ’l pregio e ’l senno e la valenza,

Ch’aggio sovente audito nominare,
Gentil mia donna, di vostra piacenza
M’han fatto coralmente innamorare;

E miso tutto in vostra canoscenza

Di guisa tal, che già considerare
Non degno ormai, che far vostra voglienza;
Sì m’ha distretto Amor di voi amare.

Di tanto prego vostra signoria;

In loco di mercede e di pietanza
Piacciavi sol ch’eo vostro servo sia.

Poi mi terraggio, dolce donna mia,

Fermo d’aver compita la speranza
Di ciò che lo meo core ama e disia. »

 

Al quale ella rispose così:

 

Qual sete voi, che cara profferenza

Sì fate a me senza pur voi mostrare?
Molto m’agenzeria vostra parvenza.
Perché ’l meo cor potessi dichiarare.

Vostro mandato aggrada a mia intenza;

In gioia mi conteria d’udir nomare
Lo vostro nome, che fa profferenza
D’essere sottoposto a me innorare.

Lo core meo pensar non si savria

Alcuna cosa, che sturbasse amanza;
Così affermo, e voglio ognor che sia.

L’udire a voi parlare è voglia mia,

Se vostra penna ha buona consonanza
Col vostro core; od è tra lor resia.

 

Dante da Maiano le rispose con un altro sonetto in cui le disse che se voleva conoscere il suo nome doveva guardare nei capiversi del sonetto stesso. La trascrizione dei versi secondo l’uso moderno, non rende immediatamente riconoscibile l’acrostico del nome DANTE, ma la versione all’antica ne facilita certamente la lettura:

 

 

Di ciò ch’audivi dir primieramente, Gentil mia donna, di vostro laudore,
Avea talento di saver lo core, Se fosse ver ciò ben compitamente.
Non com’audivi il trovo certamente, Ma per un cento di menzogna fore;
Tanto v’assegna saggia lo sentore, Che move e ven da voi soprassaccente.
E poi vi piace ch’eo vi parli, bella, Se ’l cor va dalla penna svariando,
Sacciate mo che ben son d’un volere. E se v’agenza el vostro gran savere
Per
testa lo meo di vada cercando; Se di voler lo meo nome v’abbella.