Meo Abbracciavacca

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Influente rimatore toscano vicino alla poetica provenzale

Bartolomeo Abbracciavacca, detto Meo, poeta toscano di cui non si hanno notizie storiche certe: forse nativo di Pistoia fu figlio di un cambiavalute ghibellino, certo Abbracciavacca di Guidotto della famiglia dei Ranghiatici di Pistoia. Come Guittone D’Arezzo seguì la corrente dei rimatori toscani vicini alla poetica provenzale, momento di transizione tra la scuola siciliana e il Dolce stil novo. Secondo certi documenti storici pare fosse già morto nel dicembre del 1313.

Sommario

  • CANZONI
  • I. Amore non è cagione di pene, ma di gioia.
  • II. Nella donna, piú che la beltá, è da stimare la saggezza.
  • III. Fra i tormenti d’Amore si rallegra, pensando alla virtú della sua donna.
  • SONETTI
  • I. Amore gli renda piú pietosa la sua donna.
  • A Fra Guittone
  • I. Se possiamo spegnere gli stimoli della generazione, non astenendoci dal bere e dal mangiare.
  • II. Tornato di Francia, espone le sue miserie.
  • III. Se Dio possa usare misericordia verso di lui peccatore.
  • IV. Sul medesimo argomento.
  • A Bindo D'Alessio Donati
  • I. Rimprovera l’amico d’essersi perduto in vizi carnali.
  • A Dotto Reali
  • I. Come mai l’anima, che è formata da Dio, possa essere sopraffatta da altre cure.
  • II. Si lamenta che gli sia stato risposto oscuramente circa la questione esposta nel sonetto che precede.
  • A Monte D'Andrea
  • I. Eviti le pene d’amore, mutando luogo.

CANZONI

I

Amore non è cagione di pene, ma di gioia.

Sovente aggio pensato di tacere,
mettendo in obrianzaOblianza, oblio.
d’esto modo parlare intendimento(Anche 'intensa') inclinazione amorosa (provenz. 'entensa' o 'entendemens').,
ma poi mi torna, punge e fa dolere
la sovraismisuranza5
di quei c’han ditto d’aver sentimento
de l’amoroso, dolce e car valore,
nomandolo signore,
ch’ard’e consumma di gioi’ la verdura
del suo fedel: servendolo soggetto,10
sempre li dá paura:
vantaggio ’i tolle, ch’avemo da fèra.
Eo ne faccio disdettoRitrattazione.:
se simil dissi mai, cangio carrera.

Ché non par vegna da molto savere15
chi sente sua fallanza,
se non volve con vero pentimento.
Né l’altrui troppo si dé’ sostenere,
che pare un’acordanza,
come chi dice: standeStarne. l’om contento.20
Unde move adistato lo mio core
d’essere validore,
se posso, difendendo la drittura
d’amor, che solo in gioi’ have l’assetto
e di gioi’ si pastura,25
non avendo giá doglia sua riveraStanza..
E, se vo’ par defetto,
non è d’amor, ma d’odio è pecca intera.

Poi conoscenza ferma lo piacere,
venendo disianza,30
l’omo s’alegge ad esso per talento,
e non è, se poi dole, in nelNel. volere,
ma, tardando, li avanza,
soffrendo disioso lo tormento.
Donque n’ha torto ciascun amadore,35
che si biasma d’amore,
ch’è solo volontate chiara e pura,
che nasce, immaginato lo diletto,
che porge la naturaNaturale sentimento.
de la vita, montando in tal mainera,40
come fa lo ’ntelletto
che di gioi’ chere sempre la sua spera.

Amor nell’alma credo uno podere
che si prende d’amanza,
poi lo saver ne fa dimostramento45
ne le cose partite da valere,
over la simiglianza,
non dicernendo tutto il compimento.
E, se nell’acquistar vene dolore,
non s’ama tal sentoreSentimento..50
Come calore incontra la freddura,
cosí la pena l’amoroso affetto.
Ma tanto monta e dura
del plagerePiacere (sost). avisar la luce clera,
poi cheSebbene. v’aggia sospetto,55
l’omo affannando segue sua lumera.

Dett’ho parte, com’so, del meo parere,
credo fòr la ’ntendanza
dei piú, c’han ditto ch’amor bene ha spento;
né questionar di ciò m’è piú calere,60
ché pesami dobblanza,
poi non sostene amor lo valimento
di quei che ’l contra, né sa suo vigore;
perciò istá in errore,
biasmando a torto, non ponendo cura,65
né chi rincontra lui non l’ha dispetto.
NondeNon ne. voi’ piú rancuraDolore.:
vaglia nel saggioSaggiamente (avv.). e nell’altro si pèra,
ché io nel mio cospetto
tegno che solo ben sia d’amor cèra.70

Amor, tuo difensore
so’ stato: so non è poco ardimento
ver’ lo forte lamento,
ch’è quasi fermo per la molta usanza.75
Mostr’ormai tua possanza,
facendo tuo guerrer conoscidore.

 

II

Nella donna, piú che la beltá, è da stimare la saggezza.

Madonna, vostr’altèra canoscenza,
e l’onorato bene,
che ’n voi convene — tutto in piacimento,
mise in voi servir sí la mia ’ntenza,
che cura mai non tene,5
né pur sovene — d’altro pensamento;
e lo talento — di ciò m’è lumera.
Cusí piacer mi trasse in voi compíta,
d’ogni valor gradita,
di beltade, e di gioia miradoreSpecchio, esempio (provenz. 'mirador').,10
dove tutt’ore — prendeno mainera
l’altre valente donne di lor vita.
Perciò non ho partita
voglia da intenza di star servidore.

Star servidore a voi non seria degno,15
ma voi, sovrapiagente
in vostra mente, — solo nel meo guardoCustodisco.
conoscete che ’n cor fedeleFidente, sicuro. regnoDuro (verbo) (provenz. 'renhar').,
e ch’eo presi, servente
di voi, tacente — l’amoroso dardo.20
Per mevi tardoTardi (avv.). — palese coraggioCuore (provenz. 'coratge').
fatto seria: sacciatelo per certo.
Perzò mostrare aperto
vorria vostro sentir, dico d’avisoAvviso, opinione ('dico d’aviso': così mi sembra).:
vedreste prisoPreso. — me di tal servaggio,25
per la qual donna mai fora scoperto.
Tanto scurOscuramente (avv.). ho proferto(Ho) mi sono espresso,
ch’odio, servente in core, amore ’n viso.

Viso sovente mostra cor palese
d’allegrezza smirataSmisurata.,30
perdi’a la fiata — monta in soverchianza(Montare in) diventare orgoglioso.;
ma quello di piacere over d’ofese
covra voglia pensata.
Perché, doblataRaddoppiata (provenz. 'doblar')., — grav’è la certanzaCertezza.,
donque dobblanzaDoppiezza, infingimento, incertezza. — tenete ’n sentire.35
Perciò vo’dico, amanti: non beltate
solo desiderate,
ma donna saggia, di beltate pura;
né di natura — signoria soffrire
alcun di pari pregio no’ stimate,40
ma di grand’amistate
che poggia d’onor quanto chin’d’altura.

D’altura deggio, dir come poss’eo,
lo guigliardonGuadagno. sovrano
benedir sano — di vostra ’ntenzione.45
Donna, ch’avete sola lo cor meo,
ricevestemi ’n manoIn balia (’n).:
ah! non istranoM’allontano. — d’altro guigliardone,
ché di ragione — mi donaste posa
d’affanno, di disio, d’attessaAffanno, tormento. forte.50
Sed eo prendesse morte
a vostro grado, me ne plageriaPiacerebbe.,
sí ’n meretria — voiMeritererei (anche 'mertreria' voi: meriterei presso di voi, oppure, meriterei da voi). d’alcuna cosa.
Poi che m’avete tolto e preso in sorte,
non dubitate, tort’è,55
di mio coraggio, ch’esser non poria.

Essere non poria, ché ’l core vòle
istar dove valor ha
la sua dimora — di gioioso stalloDimora.;
e, se ’l cor pago giá nente si dole,60
dunque’l partire fora
solo mez’ora — sovra ogn’altro fallo.
Cosí intervalloMomentaneo allontanamento. — non sento potesse
nel mio servir fedel porger affanno,
né ’n voi alcuno inganno.65
Ché ’l gran valore prima si provede
che dia merzede, — che poi non avesse
loco né presa, che trovasse danno.
Ché molti falsi stanno
coverti, pronti parlando gran fede.70

 

III

Fra i tormenti d’Amore si rallegra, pensando alla virtú della sua donna.

Considerando l’altèra valenza,
ove piager mi tene,
’maginando beffate, lo penserò
sovenmi, di speranza e di soffrenzaSofferenza, paziente attesa.
ne le gravose pene,5
di disianza portar piú leggeroLeggermente (avv.)..
Cá lo disperoDisperazione (sost.). — non bave podere
ne l’autroAltro. mio volere,
acciò ch’a lo signor di valimento
non falla vedimento10
di provedere li leaiLeali. serventi;
unde m’allegro, stando nei tormenti.

Dunqu’allegrando selvaggia mainera,
natura per potenza
di figura piagente muta locoQui (avv.)..15
Ché ’ntendimento in anche cosa cleraIl viso dell’amata.
turbaProduce turbamento (verbo). sentire intenza
ne la vita d’ardente coralChe viene dal cuore (agg. da core). foco.
Ed eo ne gioco. — Non deggi’ obbriareObliare.
quella, che sormontareInnalzare.20
mi face la natura, modo ed uso.
Quasi dato nascoso
sono a ubidir mia donna fina,
com’al leon soggetta fèra inchina.

En dir assai fedel, mia donna, paroPaio, sembro.25
in core innamorato;
ma ciò, pensando, fall’esser poria,
ché spesso viso dolzeDolce (agg.). core amaro
tene: poi ch’è provato,
nente si cela a mostrar che disia.30
Però vorria — vi fuss’a plagere
me servendo tenere;
ché si mi trovereste in cor siguroSicuro.
leal com’oro puro,
che, non guardando mia poga possanza,35
mi donereste gioi’ di fine amanza.

Prendendo loco parlando talento,
in voi, gentil sovrana,
ragione porterea tal convenensa.
Ma, divisando, tem’e’ ’l valimento40
c’avete venir piana
mia disianza, si mi veoVedo. ’n bassenzaBassezza..
Poi che temenza — n’aggio, si conforto:
che non seraSarà. diporto
tant’adunato parte per natura,45
fòr pietate: non dura
orgoglio in gentil cosa si finita,
ma l’umeltá fiata onne compita.

ComoCome. risprendeRisplende. in iscura partutaParte.
cera di foco apprisaPresa.,50
si m’ha’llumato vostra chiara speraSperanza..
Ché, prim’eo ’maginasse la vedutaOggetto che si vede, figura, immagine.
de l’amorosa intisa,
non era quasi punto piú che fèra.55
Ora, ch’empera — meviA me. amore ’n core,
sento ed ho valore,
e ciò che vaglio tegno dall’altura,
complita in voi figura
d’angelica sembianzaApparenza. e di merzede,60
per cui la pena gioi’ lo meo cor crede.

SONETTI

I

Amore gli renda piú pietosa la sua donna.

POETA.   Amore amaro, a morte m’hai feruto:

tuo servo son, non ti fi’ onor s’i’ pèro.

AMORE.   Ver è, ma vedi ben che l’ha voluto

quella da cui son nato e per cui fero.
   Or ell’ha di valor pregio compiuto
e di beltá sovr’ogne viso cleroChiaro.:
e però guarda non gli aggi falluto
di vista o di parlare o di pensero.

POETA.   Merzede! Amor, non dir: tu lei m’hai dato;

e sai piú di me che non sacc’eo:
falli sentir per certo ciò ch’eo sento.
   Forse ch’avrá pietate del mio stato:
al colpo periglioso del cor meo
dara’li cura: giá non vi sie lento.

 

A FRA GUITTONE

I

Se possiamo spegnere gli stimoli della generazione,
non astenendoci dal bere e dal mangiare.

Se ’l filosofo dice: — È necessaro
mangiar e ber, e luxuria per certo: —
parmi che esser possa troppo caro
lo corpo casto, se ’l no sta ’n deserto.

Ché nostri padri santi apportâro
lor vita casta, como pare aperto,
erba prendendo ed aigua, refrenâro
luxuria, che ci fierFerisce. tropp’a scoperto.

Ché, per mangiare e ber pur dilicato,
nel corpo abonda molto nodrimento,
che per natura serve al gennerare.

VorreaVorrei. saver, da saggio regolato,
como s’amorta cosí gran talento,
non astenendo il bere ed il mangiare.

 

II

Tornato di Francia, espone le sue miserie.

Vacche né tora piò neente bado,
che per li tempi assai m’han corneggiatoColpito alle corna.:
fata né strega non m’hav’allacciato,
ma la francesca gente non privadoFamiliare..

Se dai boni bisogno mi fa rado,
doglio piò se ne fosse bandeggiato.
Signor, non siate ver’me corucciato,
ché lo core ver’voi umile stradoEsco di strada..

Sacciate, nato fui da strettoiaImmaginario nome di paese, che vuole alludere alle strettezze in cui il poeta si trovò a Pistoia.:
quanto dibatto piò, stringe, non muta
la rota di Fortuna mio tormento.

Non son giá mio, né voglio mia sentutaSentimento ('non voglio mia sentuta': non sono padrone del mio sentimento).:
se mi volless’, arei tristo talento,
e di quello che vói mia vista croia.

 

III

Se Dio possa usare misericordia verso di lui peccatore.

Onesto e savio religioso frate Guittone, Meo Abracciavacca. A ciò che piú vi piace e’ son sempre con volontá di servire.

S’amore crea solo di piacereVolontà., e piacere solo di bono, temo di convenire a vostra contanza, perché non è fòr d’amore amistate, ned amore fòr simile di vertú infra li amici. Mò, sostenendo veritá, conoscenza e bono desio, sono costretto a desiderare per ragione; unde conforto che’l sano di voi gusto sosterrá lo mio amaro cibo: ché non fora benignitá scifare bono volere d’alcuno che l’have in servire, ma pare dirittura di sovenire a colui che si vòle apressare a quello che porge e sovene a privadi e a strangi. Perciò vi dimando che sia brunito lo mio ruginoso sentore de la quistione di sotto per sonetto hovvi scritto.

Poi sento ch’ogni tutto da Dio tegno,
non veggio offensa, ch’om possa mendare,
ché alma e corpo e tutto mio sostegno
mi die’ per luiA lui (dat.). servendo fòr mancare.

Ed eo contr’esso deservendo veglio,
di che non saccio u’lui deggia pagare:
aldo mi drá misericordia regno,
perché lo credo noi posso avisare.

Però che pur Dio è somma iustizia,
misericordia contra me par sia,
ch’omè opra ver’me salute nente.

Ditelmi saggio, e poi de lor divizia,
chi tene inseme Dio per sua balia
assettata ciascuna e ’n sé piacente.

 

IV

Sul medesimo argomento.

Onesto e savio religioso frate Guittone, lo Meo Abracciavacca, ch’è vostro, vi si racomanda.

Se veritá cannoscenza sostene e bono amore, convene che ogni fine elezione da canoscenza mova ed amore lo confermi. Dunque, se, per vera dimostranzaDimostrazione. di bono, sento me apriso d’amore, e poi diletto disiando servir e veder voi, non meraviglio, ma laudo, conoscendo ciò ch’amare ed elegere si dee in esta parte, e purificando e sanando. Amore, non in ozio, ma in continua operazione regna. E quinde intendo vostra benignitá, sovenendo e svegliando me, ne la grave e fortunosa aversitade, in gioia alcuna, di che fue alquanto brunita la ruginosa mia intenzione. Ora sperando sanare la mente in veritá, mò vo’Voi, a voi, vi. dimando risposta di fina sentenziaSpiegazione. di ciò ch’i’ ho dubbio, mandandolovi dichiarando per lo sonetto di sotto scritto. Consimil è la lettera e ’l sonetto a l’autro in sentenzia, ma non in voce.

Pensando ch’ogni cosa aggio da Dio,
non so di che mendar lui possa fallo;
ché alma e corpo e vita e mondo ’n fioFeudo.
mi die’ per lui servire a fermo stallo.

Ed eo ’l diservo, in che tegna disio,
non sento di che dica: - Esso disfalloLibero dal fallo commesso.. -
Aldo misericordia dir: com’io
creder lo possa, non vero, si n’avalloCado in valle, mi scoraggio, mi abbasso..

Ché pur somma giustizia è fòr defetto.
Al vero Dio misericordia come
chede contr’essa e m’opera salute

vorrial sapere; e poi di loro assetto,
avendo pieno ciascuna su’ nome
dal Signor nostro, ch’è tutto vertute.

 

A BINDO D’ALESSIO DONATI

I

Rimprovera l’amico d’essersi perduto in vizi carnali.

Amico Bindo, Meo Abracciavacca ciò che piú ti sia bono.

L’amistá fredda, celata d’amici lungiament’è veduta: però convene ad essa socorso di parole, almeno visitazione. Unde pesamevi non poco non di tuo stato inteso per te alcuna cosa, e ponderosa via piú mi grava odita quasi di pubrica voce non bene aconcia in tuo pregio. Di che bono comincio torna, per sentenzia di troppo avacciata natura, lá dove pregio montato avalla, poi suo podere noi sostene. Di che fora minore assai male no aver cominciato che partir di bono comincio. Ché rasa scrittura di carta peggio poi loco si scrive, e cosí pregio istinto nel core peggio ralluma. Ahi come pare laido ditto, dicendo: — Quei fu giá bono! — Ahi, carnal desiderio, quanti nobili e grandi hai nabissati! Porsi sembrati scusa s’avete vinto? No, ma defensione piú laude porta. Onne operazione vòle misura, e fòr d’essa vizio si trova; e quanto meno ende fori, meno bave vizio podere. Donque, se misurare omo non puote volontá carnale, apressi quanto potè a misora. E se mi dici: — Gioventute forte m’asaglie, — dico: — Difendi con ragion vecchia c’hai. — Ché gioventude s’intende in due modi: quanto al tempo e quanto in costumi. E, se ragione loco resistere non potè, fuggi, ché fuggire s’intende prodezza, lá dove convene.

Se pronto ti pare mio detto, reputane d’ira furore; e, se ti piace, mi scrive quello che la tua coscienza giudica di te dirittamente, e al sonetto di sotto risponde con paraule e con operazione.

Non volontá, ma omo fa ragione,
perché soverchia vantaggiando fèra;
e qual sommette a voglia operazione,
torna di sotto, lá dove sopr’era.

Perciò chi have saggia oppinione,
porta dinanzi di ragion maineraManiera.,
e di sé dritta d’om fa elezione,
unde li surge poi di gioi’ lumera.

E dunque, amico, c’hai d’omo figura
razional, potente, bono e saggio,
come ti sottopon vizio carnale?

Pensa per che è l’umana natura,
che di tutti animai sovr’ha barnaggioBaronaggio, signoria.:
non vorrai, credo, poi vita bestiale.

 

A DOTTO REALI

I

Come mai l’anima, che è formata da Dio,
possa essere sopraffatta da altre cure.

A scuro loco conven lume clero,
e saver vero — nel sentir dubbioso,
per ciò ch’omo si guardi dall’ostreroNemico, demonio.,
ch’è tutto fèro — dolor periglioso.

Donque chi non per sé vede lumero,
véneli cheroDomanda (sost.). — fare al poderosoColui che può, e anche possente, ricco (provenz. 'poderos').;
unde dimando a voi, che siete speroSpecchio.
palese altèro — d’onni tenebroso.

Io son pensoso; — dico: l’alma vene
dal sommo Bene, — donque ven compita:
chiChe. mai fallita — pò far sua natura?

S’è per fattura — de vasel che tene,
perché poiPoiché. pene — pate ed è schernita,
da che sua vita — posa ’n altrui cura?

 

II

Si lamenta che gli sia stato risposto oscuramente
circa la questione esposta nel sonetto che precede.

Messer Dotto frate, Meo Abracciavacca salute di bono amore.

Da lume chiaro di natura prende scuro, e non da scuro chiaro lume, perché nond’abisogna vostro mandato. Credo che assai prova intelletto vostra operazione; perciò temendo parlo. Dico che ogni opera umana solo da volontá di posa move, e mai per omo in esto mondo non trovare si pò; e ciò è la cagione che ’l core non si contenta. Poi dico che ogn’altra criatura naturalmente in esto mondo tanto trova sua posa; e, se omo maggiormente nobile creatura fo formato, come non sovra l’autre criature have perfezione di posa avere? Nente ragion lo vòle che lo ’ntelletto posiSi può. ned aggia affetto u’ non è sua natura, e ch’elli non è creato come corpo si crea in esso loco; ma have del sommo e perfetto compimento, cusi pur di ragione altra vita intendo, ove intelletto posi e sia perfetto. E voi, intendo, siete omo razionale, ch’avete presa via di ritornar al perfetto principio per fina conoscenza. Se volontate varia per istati diversi, non vari operazione d’avere verace spera, venendo a fine fine. In ciò che mandasteme lettera e sonetto, perché risposta avete di mio sentire, rispondo; e, se vostra intenzione non si pagasse, riputatene il poco saver mio, che volontá pur aggio di sodisfare ad onne piacer bono: per compimento volontá prendete. A frate Gaddo e a Finfo, come imponesteme, il mostrai e diei scritto.

Parlare scuro, dimandando, dove
risposta chiere veder chiaro l’orma,
non par misteroMezzo. che sentenzia trove,
ma del sentir altrui volere normaModo, regola..

A ciò che ’ntendo dico mezo soveSovviene, soccorre.
di primo fine, e di fine stormaS’allontana dalla torma, s’allontana.
qual nel mezo difetto fine stroveTrova.:
dunqua per fine ten piú vizi a tormaSchiera..

Cosí bono tornare pregio chineChe.
di monte ’n valle del prefondoProfondo. male,
a ciò bisogna di ragione cura.

Voi conoscete da la rosa spine,
seguir convene voi a fine tale,
che ’l primo e ’l mezo di lod’agi’altura.

 

A MONTE D’ANDREA

I

Eviti le pene d’amore, mutando luogo.

Vita noiosa pena soffrir láne,
dove si spera fine veder portePorto.
di gioia porto posandovi, láneLà (avv.).
con bono tempo fôra tale porte.

Ma pena grave perder còi e lane,
e credensa piò doglia fine porte,
ogne ramo di male parmi láne:
me non sopporre, ma ben vorria porte.

Chi sta nel monte reoRe. vada ’n nel vallo,
e chi nel valloValle. simel poggi ai monte,
tanto che trovi loco meno reo.

Ché bono non è che dir possa: — Vállo,
ch’i’ sento loco fermo ch’aggio, Monte, —
cavalieri, baron, conte, né reo.

 

Bibliografia:
Rimatori siculo-toscani del Dugento , a cura di Guido Zaccagnini e Amos Parducci. Bari, Laterza, 1915.

Nota filologica: I testi qui riprodotti seguono la variantistica proposta dall’edizione Zaccagnini, Laterza.

© Silvia Licciardello. Riproduzione riservata.