Cino da Pistoia

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Guittoncino dei Sinibaldi, meglio conosciuto come Cino da Pistoia, giurista e poeta legato da una profonda amicizia a Dante e Petrarca, nacque a Pistoia intorno al 1270, esponente della famiglia Sigibuldi (o Sigisbuldi, detta anche Sinibuldi). Nel 1292 conseguì a Bologna la laurea in diritto, divenendo nel tempo uno dei più illustri giuristi del suo tempo, ma fu anche molto apprezzato come poeta e lodato da Dante e Petrarca. 1 Nel 1303, fu bandito da Pistoia a causa dei tumulti tra guelfi bianchi e neri, ma il suo esilio fu ben più breve rispetto a quello dell’amico Dante Alighieri, ritornò infatti a Pistoia nel 1306, grazie all’intervento del marchese Moroello Malaspina. A Pistoia lavorò come giudice fino a quando non entrò in politica al seguito dell’imperatore Arrigo VII, e collaborò come assessore con il senatore di Roma Ludovico di Savoia. Nel 1314 pubblicò un celebre commento al Codice giustinianeo, la Lectura super Codicem e si dedicò all’attività didattica in diverse città italiane (Siena, Perugia, Napoli). Nel 1330 ebbe trai suoi allievi anche Boccaccio, studente di diritto canonico a Napoli. Nel 1330 ritornò a Pistoia e fu eletto gonfaloniere, ivi morì nel 1336.

Cino da Pistoia compose un ampio numero di rime di tono malinconico ed elegiaco, che cantano della nostalgia del passato e della lontananza della donna amata. Il suo canzoniere comprende circa duecento componimenti, tra canzoni e sonetti (venti canzoni, undici ballate e centotrentaquattro sonetti): la produzione poetica di gran lunga più estesa fra gli stilnovisti, se si esclude quella dell’amico Dante Alighieri (anche se la compiutezza espressiva del volgare risulta meno selezionata rispetto all’esperienza del Dante stilnovista). La sua vicinanza ai temi provenzali e alla scuola siciliana, furono degli elementi di originalità all’interno della produzione degli stilnovisti, e secondo Francesco de Sanctis Cino da Pistoia fu precursore e maestro del Petrarca per il suo stile dolce e la musicalità del verso. L’attività poetica di C. rappresenta quindi l’anello di congiunzione fra l’esperienza ancora duecentesca dello stil novo e la lirica d’amore del Trecento.

 


1Dante lo cita nel De vulgari eloquentia come il poeta della dolcezza.

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Sommario

  • Primi versi
  • Rime d'amore

PRIMI VERSI

I

DANTE ALIGHIERI

A tutti i poeti amanti

A ciascun’alma presa e gentil core
Nel cui cospetto viene il dir presente,
A ciò che mi riscrivan suo parvente,
Salute in lor signor, cioè Amore.

Già eran quasi che atterzate l’ore5
Del tempo ch’ogni stella è più lucente.
Quando m’apparve Amor subitamente,
Cui essenza membrar mi dà orrore.

Allegro mi sembrava Amor, tenendo
Mio core in mano; e nelle braccia avea10
Madonna, involta in un drappo dormendo.

Poi la svegliava, e d’esto core ardendo
Lei paventosa umilmente pascea:
Appresso gir ne lo vedea piangendo.

 

II

RISPOSTA DI CINO DA PISTOIA

Naturalmente chere ogni amadore
Di suo cor la sua donna far saccente:
E questo per la visïon presente
Intese di mostrare a te Amore,

In ciò che dello tuo ardente core5
Pasceva la tua donna umilemente;
Che lungamente stata era dormente.
Involta in drappo, d’ogni pena fore.

Allegro si mostrò Amor venendo
A te per darti ciò che ’l cor chiedea,10
Insieme due coraggi comprendendo:

E l’amorosa pena conoscendo
Che nella donna conceputo avea.
Per pietà di lei pianse partendo.

 

III

ONESTO BOLOGNESE A CINO DA PISTOIA

Quella che in cor l’amorosa radice
Mi piantò nel primier che mal la vidi,
Cioè la dispietata ingannatrice,
A morir m’ha condotto; e stu nol cridi,

Mira gli occhi miei morti in la cervice,5
E del cor odi gli angosciosi stridi,
E dell’altro mio corpo ogni pendice,
Che par ciascuna che la morte gridi.

A tal m’ha giunto mia donna crudele
Ch’entro tal dolor sento in ogni parte,10
Che l’alma a forza dallo cor si parte;

Chè ’l mio dolzor con l’amaror del fele
Haggio ben visto, Amor, com’ si comparte.
Ben ti consiglio, di lui servir guarte.

 

IV

RISPOSTA DI CINO DA PISTOIA

Anzi che Amore nella mente guidi
Donna ch’è poi del core ucciditrice,
Si convien dire all’uom — Non sei fenice:
Guarti d’Amor, se tu piangi e tu ridi;

Quand’odirai gridare — Ancidi, ancidi. —5
Chè poi consiglia in van chi ’l contradice:
Però si leva tardi chi mi dice
Ch’Amor non serva nè di lui mi fidi.

Io li son tanto soggetto e fedele,
Che morte ancor di lui non mi diparte;10
Ch’io ’l servo nella pace e sotto Marte.

Dovunque vola o va drizzo le vele,
Come colui che non li servo ad arte.
Così, amico mio, convene farte.

 

V

A GHERARDUCCIO GARISENDI

Deh Gherarduccio, com’ campasti tue
Che non moristi allor subitamente
Che tu ponesti a quella donna mente
Di cui ci dice Amor ch’angelo fue;

La qual va sopra ogn’altra tanto piue5
Quanto gentil si vede umilemente,
E muove gli occhi mirabilemente.
Che si fan dardi le bellezze sue?

Dunque fu quello grazïoso punto
Che gli occhi tuoi la soffrîr a vedere,10
Sì che ’l desïo nello cor fu giunto.

Ciò che t’incontra, omai ti dèi tenere
In allegrezza; perchè tu sei punto,
E non morto, di quel che t’è in piacere.

 

VI

A GUIDO CAVALCANTI (?)

Quai son le cose vostre ch’io vi tolgo,
Deh, Guido, che mi fate sì vil ladro?
Certo bei motti volentieri io colgo,
Ma funne mai de’ vostri alcun leggiadro?

Guardate ben ogni carta ch’io volgo:5
S’io dico vero, io non sarò bugiadro:
Queste cosette come io le assolgo,
Ben lo sa Amor dinanzi a cui le squadro.

Quivi è palese che non sono artista
Nè ricopro ignoranza con disdegno,10
’Vegna che ’l mondo guarda pur la vista:

Ma son un cotal uom di basso ’ngegno
Che vo piangendo sol con l’alma trista
Per un cor, lasso!, ch’è fuor d’esto regno.

 

VII

A DANTE ALIGHIERI

In morte di Beatrice

Avvegna i’ m’abbia più volte per tempo
Per voi richiesto pïetade e amore
Per confortar la vostra grave vita;
E’ non è ancor sì trapassato il tempo,
Che ’l mio sermon non truovi il vostro core5
Piangendo star con l’anima smarrita
Fra sè dicendo — Già sarà ’n ciel gita,
Beata cosa ch’uom chiamava il nome! —
Lasso me!, quando e come
Vedervi potrò io visibilmente,10
Sì che ancora presente
Far i’ vi possa di conforto aita?
Dunque mi udite, poi ch’io parlo a posta
D’Amor, alli sospir ponendo sosta.

Noi proviamo che in questo cieco mondo15
Ciascun ci vive in angosciosa noia,
Chè in ogni avversità ventura il tira:
Beata l’alma che lassa tal pondo
E va nel ciel dov’è compita gioia!
Gioioso il cor fuor di corrotto e d’ira!20
Or dunque di che il vostro cor sospira,
Che rallegrar si dee del suo migliore?
Chè Dio nostro signore
Volle di lei, come avea l’angel detto,
Fare il cielo perfetto:25
Per nova cosa ogni santo la mira,
Ed ella sta dinanzi alla salute.
Ed in vêr lei parla ogni virtute.

Di che vi stringe il cor pianto ed angoscia,
Chè dovreste d’amor sopraggioire,30
Chè avete in ciel la mente e l’intelletto?
Li vostri spirti trapassâr da poscia
Per sua virtù nel ciel: tal è il desire,
Che amor là su li pinge per diletto.
O uomo saggio, oh Dio!, perchè distretto35
Vi tien così l’affannoso pensiero?
Per suo onor vi chiero.
Che all’egra mente prendiate conforto,
Nè aggiate più il cor morto
Nè figura di morte in vostro aspetto:40
Perchè Dio l’aggia allocata fra i suoi.
Ella tutt’ora dimora con voi.

Conforto già conforto l’Amor chiama,
E Pietà prega — Per Dio, fate presto: —
Or v’inchinate a sì dolce preghiera,45
Spogliatevi di questa vesta grama,
Da che voi siete per ragion richiesto;
Chè l’uomo per dolor more e dispera.
Come vedreste poi la bella ciera,
Se vi cogliesse morte in disperanza?50
Di sì grave pesanza
Traete il vostro core omai, per dio!
Che non sia così rio
Vêr l’alma vostra, che ancora ispera
Vederla in cielo e star nelle sue braccia;55
Dunque di speme confortarvi piaccia.

Mirate nel piacer dove dimora
La vostra donna, ch’è in ciel coronata;
Ond’è la vostra speme in paradiso
E tutta santa ormai vostra memora,60
Contemplando nel ciel dov’è locata
Il vostro cor, per cui istà diviso,
Che pinto tiene in sì beato viso.
Secondo ch’era qua giù meraviglia.
Così là su somiglia;65
E tanto più quanto è me’ conosciuta.
Come fu ricevuta
Dagli angioli con dolce canto e riso,
Li spirti vostri rapportato l’hanno,
Che spesse volte quel vïaggio fanno.70

Ella parla di voi con que’ beati,
E dice loro — Mentre che io fui
Nel mondo, ricevetti onor da lui,
Laudando me ne’ suoi detti laudati: —
E prega Iddïo lor signor verace,75
Che vi conforti sì come a voi piace.

 

VIII

DELLE CONDIZIONI DI AMORE

Se non si move d’ogni parte Amore
Sì dall’amato come dall’amante,
Non può molto durar lo suo valore;
Che ’l mezzo Amor non è fermo nè stante.

E di partir si sforzi ogni amatore,5
Sed ei non trova paro o simigliante:
Ma, se ’l si sente amato di buon core,
L’Amor sta fermo o pure assale avante.

Però che Amor è radice di luce
Che nutrisce lo corpo alluminato.10
Di fuora il mostra e dentro lo riduce.

Così l’Amor, se è dall’amante amato,
Si accresce e si nutrica e si conduce; E d’ora in ora è l’uom più innamorato.

 

IX

SUL MEDESIMO SOGGETTO

Amor, sì come credo, ha signorìa
E forza e potestate nella gente,
E non cura riccor nè gentilìa
Nè vassallaggio nè signor potente,

E ogn’uom tien con paraggio ’n sua balìa:5
Quest’è d’Amor lo proprio convenente,
Pur che d’Amor cominci uomo la via
Con umiltate e sia ubidïente.

E già non era lo mio ’ntendimento
Ch’Amor guardi riccor nè potestate,10
Chè non val più che ’l cor innamorato;

Ma con par grado stesse lo talento
Di due amanti con pura amistate:
Di quello il dio d’amor avea pregato.

RIME D’AMORE

X

Deh moviti, Pietate, e va’ incarnata,
E della veste tua mena vestiti
Questi miei messi, chè paian nodriti
E pien della vertù che Dio t’ha data:

E ’nnanzi che cominci tua giornata,5
Se ad Amor piace, fa’ che tu inviti
E chiami gli miei spiriti smarriti;
Per gli guai sia la lor chiesta provata.

E, dove tu vedrai donne gentili.
Quivi girai, chè là ti vo’ mandare;10
E dono a lor d’audïenza chiedi;

Poi di’ a costor — Gittative a’ lor piedi,
E dite chi vi manda e per che affare. —
Udite, donne, esti valletti umìli.

 

XI

Uomo, lo cui nome per effetto
Importa povertà di gioi’ d’amore,
E ricco di tristizia e di dolore,
Ci manda a voi, come Pietà v’ha detto.

Lo qual venuto nel vostro cospetto5
Sarebbe volentier, s’avesse il core:
Ma non lo lascia di viltà tremore,
Per che gl’ingombra angoscia l’intelletto.

Se voi vedeste appresso la sua vista,
Farebbevi nel cor tutte tremare;10
Tant’è in lui visibil la pietate.

Di mercè avare, donne, non gli siate;
Chè, per la speme c’ha per voi campare,
Di vita pasce l’anima sua trista.

 

Bibliografia:
• Cino da Pistoia, Giosuè Carducci Le rime. Con una prefazione di Giosuè Carducci , Milano : Istituto Editoriale Italiano, 1862.
• Naccucci, Vincenzio Manuale della letteratura del primo secolo della lingua italiana , voll. I-II, Firenze, Tipografia Magheri, 1837.

Nota filologica: Il testo segue la variantistica proposta dall’edizione Carducci, Istituto Editoriale Italiano.

© Silvia Licciardello. Riproduzione riservata.