Buonaccorso da Montemagno

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Storia di un allievo di Cino da Pistoia

Buonaccorso da Montemagno il Vecchio fu un poeta e cavaliere del Trecento di cui non si hanno molte notizie storiche; ma l’Accademia della Crusca lo cita tra i Testi di lingua per sottilineare l’importanza della sua produzione all’interno della cerchia degli autori Pistoiesi. Sembra che sia stato un allievo del compatriota Cino da Pistoia, ma la sua produzione letteraria, spesso confusa con quella del nipote Buonaccorso da Montemagno il Giovane, rimase occasionale e relegata agli anni della giovinezza. Pare sia vissuto tra il 1313 e il 1390 a Pistoia e che esercitasse la professione di giurista; dal 1348 ricoprì anche degli incarichi pubblici, prima come podestà di Montale e poi, nel 1352, come podestà di Serravalle; nel 1364 invece divenne gonfaloniere di Pistoia, finchè, nel 1381, venne fatto cavaliere da Venceslao di Lussemburgo.

Sommario

  • RIME

RIME

I

Erano i mie’ pensier ristretti al core
Davanti a quel che nostre colpe vede,
Per chieder con desìo dolce mercede
D’ogni antico mortal commesso errore:

Quando colei che ’n compagnìa d’Amore5
Sola scolpita in mezzo al cor mi siede
Apparve agli occhi miei, che, per lor fede,
Degna mi parve di celeste onore.

Quivi mi stringea ’l cor un umil pianto,
Qui la salute de’ beati regni;10
Quivi lucìa mia mattutina stella.

A lei mi volsi; e se ’l maestro santo
Sì lucente la fe, or non si sdegni
Ch’i’ rimirassi allor cosa sì bella.

 

II

Ben mille volte il dì raccolgo al core
Ogni mio spirto, e fo novo consiglio
Di non più amare, e mostro il gran periglio
Ove mi scorge il conosciuto amore;

E con viva ragion, per lo migliore,5
Snodo quel laccio; e con severo ciglio
Per libertà sì cara l’arme piglio
Ribellandomi in tutto al mio signore;

Ma poi, s’avvien ch’un cenno una sol vista
Di voi si scopra, subito ha tal forza10
Ch’a mal mio grado poi mi riconquista,

E per vendetta la prigion rinforza,
E stringe il nodo sì, che l’alma trista
Per man duol tace e ben servir si sforza.

 

III

Non mai più bella luce o più bel sole
Del viso di costei nel mondo nacque;
Nè ’n valle ombrosa erranti e gelide acque
Bagnâr più fresche e candide vïole;

Nè, quando l’età verde aprir si vuole,5
Rosa mai tal sopra un bel lido giacque;
Nè mai suono amoroso al mio cor piacque
Simile all’onorate sue parole.

Dal bel guardo vezzoso par che fiocchi
Di dolce pioggia un rugiadoso nembo10
Che le misere piaghe mie rinfresca.

Amor s’è posto in mezzo a’ suoi begli occhi
E l’afflitto mio cor si tiene in grembo;
Troppo ardente favilla a sì poca esca.

 

IV

Dolci pensier che da sì dolci lumi
Conducete nel cuor tanta dolcezza,
Ch’io temo l’alma ne’ martìri avvezza
In disusato ben non si consumi;

Non v’accorgete come bei costumi5
Gentil parlare ed immortal bellezza
N’alzin da terra, e tanto quell’altezza
Distrugga il cor quanto l’ingegno allumi?

Sì, v’accorgete pur: ma in tale ardore
La bella donna mia da poi si mostra,10
Che fa per un di voi nascerne mille.

Crescete adunque; e sia la gloria nostra
Di qui a mill’anni, che in un tempo Amore
Divise in dui tutte le sue faville.

 

V

Qual beato liquor, qual teste apriche,
Qual sacra terra, qual ben nate piante,
Qual natura produsse o stella errante
Le vïolette al mio cor tanto amiche?

Qual man le colser sì caste e pudiche?5
Qual me le porser più felici o sante?
O cieli, o stelle, o fati, o glorie tante,
Chi sarà mai che vostre laude diche?

O sopr’ogni altro benedetto giorno
D’alta letizia e di dolcezza pieno,10
Da far di te memoria ancor mill’anni!

O soavi ore, o dolce tempo adorno!
Mille volte per voi laudati sièno
Quanti sospir mai sparsi e quanti affanni!

 

VI

Freschi fior dolci e vïolette, dove
Spiran euri d’amor, zefiri lieti;
Belli alti vaghi e gentil laüreti,
Dove un bel nembo rugiadoso piove;

Cara leggiadra selva, onde Amor move5
Mio cor negli alti suoi pensier secreti;
Rivi erranti puliti ombrosi e cheti,
Possenti a far di sete accender Giove;

Quanto mirabilmente il viver mio
Trasformato s’è ’n voi in nuova sorte10
Data dal dì delle mie prime fasce!

Qui vivo all’ombra, onde fuggir m’è morte;
Qui dolce aura d’amor, quant’i’ disìo,
Sol mi nutrica m’alimenta e pasce.

 

VII

O gentil trïonfante e sacro alloro,
De’ lunghi e stanchi miei pensier sostegno,
Sotto a’ cui verdi rami all’ombra vegno
Tessendo l’amoroso mio lavoro;

O diletto e piacente mio tesoro,5
Fido soccorso al mio debile ingegno,
Dolce mio caro e prezioso pegno,
Dove i verdi anni e l’età prima onoro;

In te la mia speranza e i miei desiri
Rimaser dopo il fortunato giorno10
Che Madonna di te fece sue spoglie;

Mille lagrime poi, mille sospiri
Piangendo sparsi a tua dolce ombra intorno,
E raccogliendo le tue sante foglie.

 

VIII

Avventuroso dì, che col secondo
Favor della divina alma bontade
Producesti l’esempio di beltade
Che di tanta eccellenza adorna il mondo;

Sempre onorato a me, sempre giocondo5
Verrai, sia pur in qual si voglia etade;
Tal giogo nacque alla mia libertade
E sì soave ch’io non sento il pondo!

In te ne fu dal ciel mandato in terra
L’albergo di virtù, con tal valore10
Ch’ogni cosa terrestre a lui s’inchina;

Per te fuggì del mondo invidia e guerra,
E ’l sol più che mai lieto apparse fuore,
Perchè nascer dovea cosa divina.

 

IX

Poi che alle liete vostre amate rive,
Dov’or fortuna il mio venir disdice,
Pervenne l’onorata mia fenice
Che i miei dolci pensier sola prescrive;

Il cor che sanza lei lieto non vive5
Segue su’ orme, come Amor mi dice:
Ed or lì vive in pace, e l’infelice
Il dolor canta e qui piangendo scrive;

E ’n fra le rugiadose erbette vostre
Le notti alberga, e ne’ chiariti giorni10
Filomena cantando spesso il desta.

Come esser può ch’a duo begli occhi adorni
Volgansi le mortal fortune nostre?
Che meco piange il cor, lì vive in festa.

 

X

Gli occhi soavi, al cui governo Amore
Commise miei pensieri e ’l viver mio,
Che già col raggio lor benigno e pio
Mi facevan soave ogni dolore;

L’ostro e le perle, che con tant’odore5
Movean leggiadre parolette, ond’io
Trovai conforto al mio duolo aspro e rio
Ov’io solea gioir con tanto ardore;

Mi sono or lungi: e nel cammino amaro
Fu sol conforto alla mia stanca vita10
La rimembranza della vostra fede.

Anima pellegrina, ogn’altra aita
È nulla a me, se non l’esservi caro;
Nè saprei domandarvi altra mercede.

 

XI

Poi ch’a quest’occhi il gentil lume piacque
Sanza ’l qual cieco al mondo ancor sarei,
Vissuto son fin qui de’ danni miei
Cantando, nè mai poi mia lingua tacque.

Oimè, quanti arbuscei, quante dolci acque,5
Quanti monti hanno udito i versi miei!
E tu, sacro terren, saper te ’l dèi,
Sacro terren dove mia donna nacque!

Ma, se mai per cantar le labbra apersi,
Or ne’ versi d’amor piango e sospiro,10
Lontan vivendo dal mio vivo sole;

E mentre gli occhi al bel paese giro
Dove i colpi d’Amor primi soffersi,
Il cor s’adira e star meco non vuole.

 

XII

Non perchè spesso allontanar mi sogli,
Fortuna, dalle mie luci divine,
Non piogge o tempi gelidi o pruine
Faran che ’l primo mio voler mi svogli,

Un pensier dice - Or il bel nodo sciogli.5
Lascia quest’onte misere e meschine: -
Ma poco val, ch’io patirò per fine
Che di queste mortal membra mi spogli:

Nè saran mai pensier tanto aspri e gravi
Nè fato contra me d’ira sì pieno,10
Nè dura impressïon, qual vuo’ si sia:

Che ’l dolce sguardo e i begli occhi soavi
E ’l caro aspetto angelico non sièno
Pace speranza vita e morte mia.

 

XIII

Tornato è l’aspettato e chiaro giorno,
La luce a gli occhi, e al cuor gli spirti intieri,
E l’aura dolce a’ miei stanchi pensieri;
Ond’io da morte a vita oggi ritorno:

Riveduto ho ’l celeste viso adorno5
Dal qual vita Amor vuol sempre ch’io speri,
E ’l vago sguardo de’ begli occhi altieri
Che rasserena ’l cor pensoso intorno.

Quest’è l’unica gloria che soverchia
Vostre virtù, quanto ’l sole ogni stella,10
Donne leggiadre; non l’abbiate a schivo.

Cosa non è, quanto il ciel primo cerchia.
Sì mirabil sì cara nè sì bella,
Come costei di cui ragiono e scrivo.

 

XIV

L’ama gentil che sospirando move
L’avorio e l’ostro che ’l pensier m’invesca,
Col soave spirar più non rinfresca
I disir caldi. . . . . . . . .

Onde, se da’ bei labbri ancor non piove5
L’usata grazia e le parole ch’esca
Fur di mia vita nell’età più fresca,
Convien che morte lagrimando prove.

Però, cor mio, tu che con lei dimori,
Io ti consiglio, quando è più serena,10
Che gli rammenti il duol che mi consuma.

Forse ella per oblìo mi dà tal pena;
Chè aver diletto degli altrui dolori
Da spirito gentil non si costuma.

 

XV

Quando salir fuor d’orïente sôle
La messaggier de’ futuri giorni,
Dormendo udii fra lauri faggi ed orni
Quella a cui porta molta invidia il sole.

Volsimi al suon di suo’ dolci parole,5
Per veder gli atti pellegrini e adorni.
- Che fai, diss’ella, qui? dove soggiorni,
Disonesto par noi veder qui sole. -

- O degli occhi miei scorta, luce mia -
Volevo dir, che sorridendo pose10
Sopra l’omero mio la bella mano.

I’ mi riscossi, chè sì dolci cose
Sofferir mia virtù più non potìa:
Amor così pur mi nutrica in vano!

 

XVI

Pioggia di rose dal bel viso piove
Di questa prezïosa alma Ruberta,
Dove Amor si discerne in vista aperta
Splender più bel che mai mostrasse altrove.

Tanta virtù sua gentilezza move5
Ne’ sembianti leggiadri, che m’accerta
Che farìen negli ontosi tempi sperta
L’ira d’Apollo e ’l fulminar di Giove:

Ed un vago piacer degli occhi suoi
Negli animi gentil sol si trasforma,10
Chè non degna tal ben ruvido core.

O mirabil natura, come puoi
Far di cosa mortal sì bella forma,
Che infonde altrui sì dolcemente amore?

 

XVII

Forma gentil, i cui dolci anni serba
Amor forse a ventura più gradita;
Ancor sarà felicemente unita
Tua leggiadra beltà or tanto acerba;

Fortuna or contro a te dura e superba5
Farà dolce per tempo ancor tua vita:
Non disperar tua bella età fiorita,
Chè gran doglia in un dì si disacerba.

Dunque non dinegar, giovine bella,
Danzar ne’ tempi dilettosi e gai10
Nè di tener tua gentil vita lieta:

Tu se’ nel fior dell’età tua novella,
Nè si racquista tempo perso mai
Nè per volger di ciel nè di pianeta.

 

Bibliografia:
• Cino da Pistoia, Giosuè Carducci Le rime. Con una prefazione di Giosuè Carducci , Milano : Istituto Editoriale Italiano, 1862.

Nota filologica: Il testo segue la variantistica proposta dall’edizione Carducci, Istituto Editoriale Italiano.

© Silvia Licciardello. Riproduzione riservata.